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«Intangibili» troppo esposti

di Massimiliano Nova* e Angelo Provasoli**

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Dopo il mark-to-market, un altro problema si affaccia all'orizzonte, anch'esso indotto dai principi contabili internazionali e in grado di produrre effetti patrimoniali e finanziari non inferiori a quelli associati alle valutazioni a fair value degli asset finanziari: si tratta della possibile svalutazione (impairment) dei valori degli intangibili a vita indefinita e del goodwill.
Negli anni scorsi, in presenza di tassi d'interesse nominali per lungo tempo molto bassi, di elevata liquidità di sistema e di condizioni di contesto ampiamente favorevoli alle aggregazioni aziendali, anche nella forma di «carta contro carta», sono state realizzate in ogni paese numerose acquisizioni e fusioni, tutte contabilizzate secondo i principi Ifrs (Ifrs 3). Le operazioni di integrazione con finalità acquisitiva sono state rappresentate nei bilanci iscrivendo, al rispettivo fair value, le attività materiali e immateriali acquisite, compreso l'avviamento. La conseguenza è stata l'emersione di ingenti valori sia di avviamento, sia di intangibili a vita indefinita. Tali valori, non più soggetti ad ammortamento, devono essere apprezzati annualmente per verificarne la permanenza e, in mancanza, devono essere in tutto o in parte svalutati.
I dati di bilancio delle imprese quotate a Milano sono eloquenti. I valori dei beni immateriali sono ampiamente diffusi e assumono dimensioni significative. Secondo una recente ricerca della società di consulenza Partners, il valore degli intangibili, incluso il goodwill, iscritti nei bilanci al 31 dicembre 2007, è di 243 miliardi, pari a circa la metà della capitalizzazione di mercato al 30 settembre 2008. Il rapporto «intangibili / capitalizzazione» è superiore alla media del sistema in 95 società, che rispetto al complesso delle quotate esprimono circa la metà dell'intera capitalizzazione del mercato di Borsa italiano. In tali società, l'entità degli intangibili a vita indefinita e dell'avviamento corrisponde, in media, al 73% della capitalizzazione di Borsa.
Se si guarda all'ammontare dell'avviamento e di tutti gli intangibili, a vita definita e indefinita, l'incidenza rispetto alla capitalizzazione di Borsa sale, in media fino al 90 per cento. In sostanza, per tali società, la complessiva capitalizzazione di Borsa (239 miliardi) trova per gran parte spiegazione (per 173 miliardi) in valori immateriali non ammortizzati.
Ciò che sollecita riflessione non è però l'entità dei valori intangibili in sé ma questa stessa entità nel contesto della situazione e delle attese economiche che si vanno delineando. I principi contabili internazionali richiamano l'esigenza di monitorare alcuni importanti indicatori (impairment indicator) che tendono ad assumere un valore segnaletico per l'apprezzamento di potenziali riduzioni di valore dei beni intangibili e dell'avviamento. Tra questi, lo Ias 36 menziona la riduzione significativa del valore di mercato degli asset considerati o la flessione dei flussi finanziari associati all'utilizzo degli stessi asset, il peggioramento delle prospettive economiche generali, di settore o di azienda ovvero del contesto tecnologico o normativo, l'incremento dei tassi d'interesse e dei saggi attesi di remunerazione del capitale, la riduzione del valore della capitalizzazione di mercato al di sotto del valore del patrimonio netto contabile della società, il non raggiungimento, a consuntivo, dei piani approvati.
La ricerca condotta da Partners pone in luce uno scenario che, eufemisticamente, non è roseo. I dati al 30 settembre scorso del campione di 95 imprese in cui appaiono più elevati i valori immateriali segnalano tra l'altro che:
– il valore di mercato espresso dalle quotazioni di Borsa è mediamente diminuito negli ultimi 12 mesi del 49 per cento. Non si può escludere che per talune imprese ciò sia anche conseguenza di un mutamento di prospettive economiche con possibili effetti negativi sui valori dei singoli business;
– 54 imprese (il 57% del campione) presentano una capitalizzazione di Borsa inferiore al patrimonio netto contabile. Ciò pone in luce il possibile rischio che taluni asset siano iscritti nei bilanci per valori superiori ai rispettivi fair value o ai «valori in uso»;
– 38 imprese (il 40% del campione) segnalano consensus sugli «utili per azione» attesi per il 2008 inferiori agli «utili per azione» consuntivi 2007;
– l'andamento dei tassi e le attese di recessione sono sotto gli occhi di tutti: i tassi di interesse sui BTp a 10 anni sono cresciuti di 64 bp negli ultimi due anni (Banca d'Italia, ottobre 2008) e la crescita del Pil per il 2009 nell'area euro è prevista allo 0,2%% contro un dato consuntivo di variazione 2006 e 2007 rispettivamente al 2,8% e 2,6% (Fmi, ottobre 2008). Gli effetti combinati delle circostanze considerate possono non essere irrilevanti sulle aspettative delle imprese e dunque sulla dimensione dei «valore recuperabili» degli asset, specie ove stimati con le tecniche finanziarie suggerite dai principi contabili internazionali.
  CONTINUA ...»

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